Vedi tutti

Gli ultimi messaggi del Forum

Biografia della fame - Amelie Nothomb

Per chi ha confidenza col lavoro di Amélie Nothomb, leggendo "Biografia della fame" risuoneranno familiari le pagine di " Né di Eva né di Adamo", "Metafisica dei tubi", "Stupore e tremori" e "Sabotaggio d'amore", che a loro volta danno voce all'autobiografia dell'autrice.
Rispetto a questi ultimi citati, viene da chiedersi cosa sia realmente "Biografia della fame".
Ad una lettura vorace e bulimica (termini adatti al contesto) consumata in due giorni, sembrerebbe in apparenza una resume dei numerosi spostamenti a cui fin da piccolissima Amélie Nothomb, insieme all'amatissima sorella maggiore Juliette, fu costretta a causa del padre diplomatico.
Giappone, Cina, New York, Bangladesh, Birmania. L'infanzia, l'adolescenza, la prima età adulta. I giochi d'infanzia, le turbe, le amicizie, le infatuazioni, le ambizioni, il rapporto col corpo, il futuro da scrittrice. E di come quei luoghi e le persone che vi abitavano abbiano plasmato in lei appetiti di diversa natura.
Del suo rapporto ambiguo con la fame, fame del mondo e della vita stessa. Fame di affetto e di amore.
E di come questa fame sembri essere stata indispensabile a intessere un rapporto fondamentale con l'atto della scrittura:

"La scrittura era innanzitutto un atto fisico: c'erano ostacoli da superare per tirar fuori qualcosa da me. Questo sforzo costituì una specie di tessuto che divenne il mio corpo."

Le sfuggenti dissertazioni dell'autrice nelle prime pagine del libro riescono a fatica a far breccia nell'attenzione di chi legge, rallentando il ritmo della narrazione, finché si trasforma in una narrazione autobiografica a tutti gli effetti, dai tratti più chiari, delineati, concentrandosi sugli eventi, sugli spazi, sulle azioni dei personaggi e sui loro diretti effetti sulla personalità della giovane protagonista. Solo allora la parole riescono davvero ad agganciarci.

Il testamento dell'uro - Stéphanie Hochet

Quello che sembra essere un incipit innocuo, con personaggi e circostanze comuni e narrativamente poco avvincenti, in poco tempo (e cogliendo chi legge del tutto alla sprovvista) si rivela invece per quello che in realtà è: uno scenario dalle tinte inquietanti, oscure, quasi claustrofobiche, dove vengono messi in scena veri e propri sequestri di persona mascherati dietro sorrisi sardonici e falsi, progetti malefici e foschi.
La protagonista, una giovane scrittrice di Parigi, viene così condotta in una spirale di eventi grotteschi, e verso un finale assolutamente inaspettato, che ricorda quelli dei romanzi di Amélie Nothomb.
Non è forse un caso che Stephanie Hochet (autrice de "Il testamento dell'uro) apparve in un suo libro sotto lo pseudonimo di Petronille Fanto, nell'omonimo romanzo "Petronille".

Lieto evento - Eliette Abécassis

Uno stile ed un lessico semplici, senza fronzoli, che vanno dritti al punto.
Una voce onesta, senza censure sull'esperienza poliedrica della maternità, la cui narrazione è stata sempre (o comunque spesso) edulcorata, imbellettata e talvolta traviata, tenendo pudicamente (e spesso moralmente) taciute molte verità ritenute talvolta socialmente scomode, inaccettabili o addirittura esecrabili.
Niente di tutto questo: la voce dell'autrice, e così della protagonista, non ci nasconde nulla. Lascia spazio a tutto, sottolineando quale inevitabile contraddizione sia la maternità e l'essere donna a questo mondo.
Creazione e distruzione. Odio e amore. Repulsione e adorazione. Orrore e bellezza.
In questo processo, che è al tempo stesso evoluzione e regressione, Abécassis lascia spazio a tutto: la gravidanza, la percezione di un corpo che cambia inesorabilmente e non sarà mai più uguale a prima, lo sguardo della gente, il parto, l'episiotomia, il sesso, lo sconvolgimento psicofisico.
Ogni aspetto di questa esperienza ha il suo spazio narrativo, seguendo un approccio al tempo stesso umoristico e drammatico.

Tutti i nostri corpi - Georgi Gospodinov

"Mentre è sdraiato, dopo essere stato aperto e ricucito dalla gola alla pancia e lentamente esce dall'anestesia, li vede all'improvviso davanti a lui. Alcune persone di varia età gli stanno davanti e lo osservano. Strano come siano riusciti ad entrare, dato che non è ammesso l'ingresso nei reparti di chirurgia intensiva.
Vicino alla finestra c'è un bambino di sette-otto anni, in pantaloncini corti, un ginocchio sbucciato e peletti biondi sulle braccia esili. L'uomo di vent'anni è alto e bello. Vicino a lui ce n'è uno di quaranta, che comincia a incanutire, specie sul lato sinistro, ma fa ancora una gran bella figura. E infine un uomo di sessant'anni, dal volto giallastro, appare dimagrito e ha delle borse sotto gli occhi, deve assolutamente andare a farsi visitare.
- Chi siete voi? - chiede il paziente, anche se intuisce la risposta.
- Tutti i tuoi corpi - risponde il più anziano. - Non ci hai riconosciuto?
Si osservano in silenzio per circa un minuto.
- Su, andatevene, adesso viene l'infermiere capo - dice loro a bassa voce, anche se vorrebbe che rimanessero ancora un po'. E' difficile che si vedano ancora.
Loro si guardano, gli fanno un cenno appena percepibile di addio e cominciano a uscire.
Il bambino rimane per ultimo."

"Tutti i nostri corpi" è il titolo di questa raccolta di racconti brevi, talvolta brevissimi. Fermoimmagine, istantanee, sequenze breviloquenti, talvolta delle semplici riflessioni che accomunano l'intero genere umano.
Ma fa anche da titolo alle parole sopracitate. Uno scenario in parte magico in parte onirico, quasi kafkiano.
Anche se verso la fine perde un po' di smalto, gran parte della raccolta mantiene suggestioni, toni e ritmi incalzanti, brillanti, talvolta umoristici, talvolta drammatici, come luci che s'accendono all'improvviso nel buio e lasciano una traccia scura e fulminea negli occhi.

Autunno tedesco - Stig Dagerman

Stig Dagerman è un romanziere svedese, ma qui sono riportati i suoi articoli scritti per un quotidiano, come reportage dalla Germania , appena sconfitta nella seconda guerra mondiale. Il suo sguardo è inusuale, chiaramente simpatizza con gli ultimi, cosa strana a quell'epoca, perché i tedeschi erano la popolazione odiata per l'avvento del conflitto, ed ancora di più oggi, che sembriamo indignati "dalla povertà" . Il suo è linguaggio che incrementa la nostra visione. Assolutamente da leggere!

Novembre alle porte - Chaim Potok

che storia incredibile quella raccontata da Chaim Potok,
un romanziere che narra la storia della famiglia Slepak,
Storia che riverbera ancora nel 2023 ,
con la tenace richiesta e difesa dei diritti umani nella Russia di Lenin, Stalin
e ...Putin ( ho amato così tanto questo testo che appena finito di leggerlo, l' ho comprato!) Chaim Potok scrive romanzi bellissimi

Brevi lezioni di meraviglia - Rachel Carson

Rachel Carson scrive un libro estremamente toccante, adatto in primis a tutti i genitori, agli educatori , perchè questa splendida narratrice, biologa marina a cui si deve la messa al bando del DDT, possiede una grande voce per elicitare la conoscenza in ogni essere umano . La sua vicenda personale è altrettanto notevole, se non la conoscete, questo breve saggio, sarà una scoperta davvero coinvolgente

Fato e furia - Lauren Groff

Una vicenda matrimoniale narrata prima dal coniuge e poi a metà del romanzo la voce passa alla sposa: un espediente narrativo estremamente affascinante, una scrittura limpida ( credo non solo merito del traduttore, Tommaso Pincio), che mi ha tenuto incollata al romanzo sino alla fine. Lauren Groff è un'abile narratrice, il sistema bibliotecario possiede anche "Matrix" altrettanto godibile; se siete in cerca di una buonissima lettura, prendete a prestito queste narrazioni !

Filastrocche in valigia - Sabrina Giarratana

Conta delle finestre

"Conta a sinistra e conta a destra
ovunque guardi c'è una finestra
finestre grandi, cieli quadrati
piccoli mondi ben ritagliati
devi ascoltarle certe finestre
sono strumenti di grandi orchestre
c'è da imparare dalle finestre
certe t'insegnano e sono maestre
quella era chiusa, oggi è un po' aperta
ma che scoperta."

(Sabrina Giarratana)

Sirene - Laura Pugno

"Un tempo, la costa della NuBaCa era stata un luogo meraviglioso per gli esseri umani. Adesso emanava una bellezza ancora maggiore, più antica e atroce, era un mondo a sé stante, splendido e inospitale. La luna era l'unica luce naturale ancora sopportabile".

Intenso, viscerale. Un ritratto atipico e lontano da quello idilliaco generalmente attribuito alle sirene. Il binomio bellezza e ferocia è ancora vivo e non distante dalle descrizioni fornite dalla mitologia, ma in questo breve romanzo distopico le regine del mare sono descritte come vere e proprie bestie da macello, spesso esibite come animali da zoo. Imprigionate, mutilate, seviziate, uccise e divorate.
Una storia impietosa, senza carità. Seppur ambientato in un luogo e in un tempo imprecisati nel futuro, questo mondo pare in tutto e per tutto avere i prerequisiti giusti per descrivere un futuro ormai prossimo, che forse si sta già realizzando nel presente.
Un sole nocivo, al quale non ci si può più esporre senza correre il rischio di contrarre un tumore alla pelle e morire in poco tempo, oltre a provocare alti rischi di contagio.
E in questo scenario desolante e di generale indolenza, le sirene, creature meravigliose e brutali, vengono infine scoperte dal genere umano, strappate via dal loro ambiente naturale, e letteralmente rinchiuse in vasche per essere allevate e sostanzialmente macellate. Un campanello familiare sembra risuonare.
Il procedimento di macellazione delle sirene (descritto in modo tecnico e imperturbabile) e il mercato che ruota attorno alla vendita della loro carne è appunto avido e impietoso. La loro natura, stupenda e feroce, viene così manipolata, rendendo queste creature (solo in parte vagamente umane) improvvisamente mansuete, inoffensive e passive a qualunque cosa subiscano.
"Il corpo della sirena era scivoloso per l'umore, il sapore era quello del mare. Il vecchio aveva affondato i denti nella spalla della sirena e le aveva morso il seno, aveva leccato il sangue. Poi, a fatica, e aiutandosi con un coltello, l'aveva aperta e penetrata mentre le divorava la carne e si era svuotata dentro di lei un attimo dopo, sussultando".
Un altro episodio simile si presenta quando Samuel, il protagonista, ricorda Sadako, la donna amata e perduta a causa del contagio: "Quando Sadako era morta, Samuel aveva pensato di divorare il corpo, prima che lo cremassero. Mangiare la sua carne voleva dire averla dentro di sé per sempre, o almeno fino alla fine del pasto e del ciclo del cibo nel suo corpo".
In questa storia sembrano esistere due tipi di fame: una fame alimentata dal desiderio sessuale (dove però l'amore non compare mai, e il sesso diventa un mero processo macchinoso di espletamento dei propri umori), e poi una fame stimolata dallo stomaco.
Talvolta però pare difficile trovare una effettiva differenza fra le due, cosicché la voce narrante descrive un generale appetito che non appaga mai davvero. È bulimico, e forse per questo ancora più stomachevole, ributtante, poiché votata ad un mero consumo, ad un uso delle cose e delle persone che alimenta un circolo vizioso inarrestabile, che non può condurre ad altro se non alla distruzione dei suoi stessi artefici, prima o dopo.
Nutrirsi e accoppiarsi diventano due atti crudi, gelidi, macchinosi, intrisi di cupezza, orrore e dolore.

Mezzanotte e cinque - Malika Ferdjoukh

Pur trattandosi di un romanzo contemporaneo per ragazzə, sembrano esserci dei richiami a certe dinamiche narrative tipicamente dickensiane oppure più sottilmente a quelle narrate ne "L'uomo che ride" di Victor Hugo.
Una polarizzazione netta tra aristocrazia e povera gente, nobili e popolani.
Tre orfani costretti a vivere di espedienti, che tuttavia riescono a sperare per il loro futuro e a conservare un'indole all'innocenza, però nascosta sotto strati di sudiciume e stracci.
I tre protagonisti sono: Mezzanottecinque (così chiamato a causa dei dodici puntini tatuati a forma di quadrante di orologio e delle due lancette puntate a mezzanotte e cinque sull'avambraccio da quando è nato); la sorellina Bretella (appassionata di bottoni) ed Emil (cantante, giocoliere di rime e domatore di topi, convinto di essere il figlio del ricco barone di Moravia, del quale sta andando alla ricerca).
In seguito alla sparizione di una preziosa collana di diamanti appartenente alla principessa Daniella Danilova, i tre si ritrovano ad avere a che fare con nobili avari, violenti, subdoli e prepotenti.
Un'aristocrazia la cui malvagità resta impunita, e che continua ad abbattersi sui miserabili anche e soprattutto quando, attraverso la voce di tre poveri orfani, dicono la verità.
Tuttavia, si può certo dire che, contrariamente alle sorti di certi personaggi hugoniani, Malika Ferdjoukh (l'autrice) sfrutta perfettamente l'espediente narrativo del deus ex machina, tipicamente dickensiano, in un finale dolce amaro che fa ancora sperare nel bene dell'umanità, quello invisibile della gente comune.

In una notte di temporale - Yuichi Kimura

"La capra non aveva ancora capito che il suo compagno era un lupo. (...) Anche il lupo non aveva capito che il suo compagno era una capra."

Il buio della notte. Un improvviso temporale. Una capanna. Una capra e un lupo.
Lontani richiami alla figura di Psiche, che amava ad occhi chiusi, al buio, senza vedere chi fosse l'amato. Dell'amato udiva solo la voce, potendone immaginare l'aspetto soltanto al tatto.
Anche in questa storia, sia il lupo che la capra sono letteralmente all'oscuro di chi faccia loro reciproca compagnia nella capanna.
Si affidano alle parole, non ai volti.
Ascoltano la voce dell'altro e, lontani dal poter immaginare, dal vedere e dal sapere chi possa essere l'altro, riescono lo stesso a conoscersi, avvicinarsi. Ed è forse solo in questo modo che superano le loro barriere e riconoscono le loro affinità.

Come sottolinea la premessa, "In una notte di tempesta" ha vinto numerosi premi, tra cui, in Italia, il Premio Nazionale Libro per l'Ambiente 1999 conferito da Legambiente. E' stato scelto come testo di studio per le scuole elementari dal Ministero della Pubblica Istruzione Giapponese e in Giappone è uno dei libri più venduti degli ultimi anni.

Una sera tra amici a Jinbōchō - Satoshi Yagisawa

"Tokyo, una piccola libreria nel quartiere delle librerie. Un posto pieno di semplici storie minuscole".

Il romanzo inizia con un breve riepilogo narrativo di quanto è successo nel libro precedente, "I miei giorni alla libreria Morisaki": forse per scrupolo dell'autore, nell'ipotesi che non tutte le lettrici e i lettori siano al corrente che si tratti di un secondo atto di un libro precedente, pubblicato nel 2022.
Questa operazione permette così una (re)visione d'insieme di un ciclo narrativo più ampio. Allo stesso tempo però, per chi invece è reduce dal primo libro, il ritmo viene rallentato, ragion per cui la storia sembra riuscire a prendere un po' di slancio solo a metà del libro.
Capitolo forse meno riuscito rispetto al precedente, e ancora un volta con dialoghi non particolarmente brillanti e memorabili, anzi, talvolta la copiatura di pure chiacchiere di circostanza o di usuali formule intercalari del parlato, che certo rallentano ulteriormente il ritmo della narrazione.
Ma forse l'obiettivo non era raggiungere ambiziose vette letterarie, ma limitarsi a raccontare, con formule e parole semplici, una storia "minuscola" e semplice, e con un messaggio di fondo dopotutto condivisibile.
Se si ignora per un breve momento l'approccio critico-letterario al romanzo, concentrandosi piuttosto sui personaggi e sulle storie costruite attorno e su di loro, si direbbe ugualmente una lettura godibile nell'arco di tempo che la storia si inizia e si finisce di leggere, ma con un riverbero comunque troppo debole.