Una raccolta di 11 racconti brevi, in cui il letto li unisce tutti, come un fil rouge tra una storia e l'altra. Che si tratti di un letto d'ospedale; di un letto improvvisato con dei cartoni presi da un bidone; di una culla; del lettino di un terapista; del letto nuziale costruito da Ulisse, re di Itaca, utilizzando il tronco di un albero di ulivo oppure di quello da assemblare faticosamente in tutti i suoi pezzi, come processo inaugurale della nuova convivenza di una coppia moderna.
A qualunque epoca storica, a qualunque età e a qualunque scopo esso sia destinato, il letto è qui protagonista, o altrimenti è il testimone silenzioso e vigile dello srotolarsi di queste umane esistenze.
A proposito del letto, Bukowski scriveva: "...mi piacciono i letti, credo che sia l'invenzione più grande dell'uomo, quasi tutti siamo nati lì, si muore lì, si scopa lì, ci si abbraccia lì e si sogna lì".
Che Bukowski piaccia o meno, c'è senz'altro del vero in questa sua asserzione, e in questa circostanza sa riassumere perfettamente i vari scenari di cui Ugo Riccarelli si serve, almeno in parte, per inquadrare quest'oggetto.
Della raccolta, tuttavia, solo 3 racconti sono stati capaci di smuovere e lasciare qualcosa, in un approccio senz'altro personale al testo: "Terapie brevi", "Malm" e "Culla il tuo bambino".
Curioso che, proprio iniziando l'ultimo racconto sopracitato, abbia trovato un'annotazione scritta a matita in caratteri maiuscoli, da chi prima di me aveva presumibilmente già avuto per le mani quella copia, che recitava in modo imperativo: "Atroce, non leggere!".
E' risaputo che, nella maggior parte dei casi, nel dire a qualcuno di non fare una cosa, si finisce inevitabilmente e involontariamente per incoraggiarlo a farla; quando poi si tratta di libri, è sufficiente pensare ai libri proibiti che invece di ammansire e intimorire, fomentavano la curiosità di chi intendeva apprendere il più possibile del mondo e dell'opera umana.
Dietro quell'imperativo, c'era dunque da domandarsi dove finisse l'ammonimento e dove iniziasse la sfida, specialmente di fronte al vivo contrasto tra quell'aggettivo "atroce" (e non "brutto", nel senso di scritto male) e la mitezza del titolo "Culla il tuo bambino", ragion per cui non ho avuto esitazioni a proseguire, già reduce da letture dure, spesso atroci, talvolta violente, talvolta ingiuste, intrise di odio e avidità. E sì, la circostanza è sicuramente atroce, non tanto per la presenza di alcuni vaghi toni espliciti, ma forse per quello che l'autore decide di non scrivere, lasciando all'immaginazione (processore infinitamente potenziato di immagini e suggestioni) il compito di riempire i buchi del non detto o dell'appena accennato.